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Messina. Peppino Mazzullo, la voce di Topo Gigio: il segreto di un’icona nata da un sogno

MESSINA – Peppino Mazzullo, o meglio “il Maestro”, come preferisce essere chiamato, classe 1926, quasi un secolo di arte, teatro e personaggi, fra tutti Topo Gigio, di cui è stato la voce dal 1961 al 2006. Vive oggi nel suo paese natale, Santo Stefano di Briga, tra le colline di Messina, dove si è ritirato dopo la pensione. Racconta con emozione e un pizzico di mistero come è nata la voce di Topo Gigio, il personaggio che lo ha reso celebre per oltre quarant’anni.

 

“Avevo due o tre anni. All’alba mi sveglio, apro gli occhi e vedo ai piedi del letto un personaggino, una cosina così, che parlava. Io mi sono spaventato e ho urlato “Mamma!”, ma non mi veniva la voce. Alla fine, dopo un po’, forse ha avuto pietà quella creaturina, ed è sparita. Solo allora mi è tornata la voce. Ho chiamato mia madre e le ho raccontato quello che avevo visto. Lei mi ha detto: “Non ti preoccupare, è un fuddittu, ti porterà fortuna”. Un episodio infantile rimasto impresso nella memoria del Maestro e che, molti anni dopo, si sarebbe intrecciato con la nascita di Topo Gigio.

 

“Passano gli anni e io mi trovo in uno studio televisivo in Rai, dove facevo l’attore drammatico e comico. Vedo un pupazzetto e mi accorgo che è identico al fuddito che avevo visto da bambino. Ma mica potevo raccontare questa storia a Maria Perego e suo marito Federico Caldura! Quando mi chiesero un parere, dissi semplicemente: “Mi piace”. Il pupazzo, però, era stato fatto in fretta e sembrava un po’ malconcio, nato per essere solo parte di un numerino musicale con altri topini. Eppure, per me aveva qualcosa di speciale.” Fu in quel momento che nacque la voce che avrebbe accompagnato Topo Gigio per decenni.

“Mi chiesero di provare a dargli una voce, e così feci. “Ma cosa mi dici mai?”  dissi per gioco, e in quello stesso momento Gino Bramieri, che era lì con me, mi disse: “Non dimenticare questa voce!”. Non potevo raccontare che per me era la voce del fuddito, di quella creaturina che avevo visto da bambino, ma era la stessa identica figura”.

 

Così, quasi per destino, Topo Gigio prese vita con la voce di Peppino Mazzullo.

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Zambia. Coraggio tra lacrime, polvere e zanzare

“Certo che ci vuole coraggio ad andare in Africa.” È la frase che accompagna ogni mio saluto quando annuncio che sto per partire per il “continente nero”. Coraggio?

“Ma perché vai a rischiare in mezzo ai neri? Ci sono fame, malattie, sporcizia.” Coraggio?

Rossa come sangue, l’Africa ti colpisce con il suo cuore accecante: la sabbia porpora, fine come polvere, disegna una striscia di terra che si stacca dall’asfalto e conduce all’ingresso del National Heart Hospital di Lusaka, la capitale dello Zambia.

 

I primi missionari di queste terre furono italiani. Arrivarono a ovest, laddove una profonda spaccatura nel terreno fa risuonare un’enorme massa d’acqua: il “fiume che tuona” lo chiamavano i locali, oggi sono le Cascate Vittoria, così battezzate dai colonizzatori europei in onore della regina Vittoria d’Inghilterra. Qui, nell’ex Rhodesia del Nord, gli italiani portarono la Cristianità. Avventura, disastri, civilizzazione, commercio.

Penso a loro mentre percorro la strada dall’aeroporto, in compagnia di otto nuovi missionari moderni: medici e infermieri, professionisti che hanno lasciato il lavoro per una settimana, prendendo le ferie per eseguire interventi di cardiochirurgia pediatrica in Africa. Senza compensi, senza guadagni. Potevano essere in vacanza alle Maldive, e invece sono qui, coperti di polvere su una macchina diretta a Lusaka. Coraggio?

Sono qui per guarire il cuore di tanti piccoli pazienti che non potrebbero sopravvivere senza un’operazione. Una terra arsa dal sole, intrisa dell'odore intenso del sudore, del profumo dolce della frutta, dal sentore del marcio dei rifiuti, del fumo del legno che brucia, e dell'aroma fresco delle foglie verdi.

Bloccati nel traffico, siamo circondati da venditori ambulanti che tra i veicoli polverosi cercano di vendere vestiti, mais, frutta, sigarette. Un groviglio di pelle scura, un bagno caldo di umanità alla ricerca di un modo per sopravvivere.

La realtà di un paese si percepisce dalle persone, dalle infrastrutture e dai servizi. C’è un’unica strada asfaltata che corre dritta dall’aeroporto al centro città; i vicoli tra le case sono spesso linee di polvere, sabbia tra muri di pietra e fango. Uscendo dalla capitale, molte arterie principali sono piste di terra battuta in mezzo alla savana.

La corrente in hotel va spesso via, attivando un generatore a scoppio che non solo fornisce energia elettrica, ma ha anche il compito di svegliare gli ospiti nelle stanze vicine. Ragni, coleotteri, millepiedi. Zanzare. Ma c’è una missione da compiere. Coraggio?

 

L’ospedale è un miraggio in mezzo al rosso: un edificio moderno costruito dai cinesi, i nuovi colonizzatori del continente nero.

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Paradiso di sole e inferno di fango: viaggio nell’emergenza di Stromboli

Pietre. Terra. Alberi mutilati. Muri saltati.  "Ogni pioggia è un incubo," racconta Vincenzo, residente di Piscità. "Non possiamo vivere con la paura che una semplice perturbazione ci sommerga di fango."

 

Stromboli, un gioiello delle isole Eolie, sta vivendo una crisi ambientale senza precedenti. Quello che una volta era un paradiso terrestre è diventato per i residenti un luogo di paura e incertezza, dove la pioggia, da sempre simbolo di rinascita, si è trasformata in un incubo. Le strade del borgo e i vicoli di Ginostra si trasformano sempre più spesso in torrenti di fango e detriti.

La protesta esplosa nei giorni scorsi ha portato alla luce una crisi che si trascina ormai da anni. Gli abitanti dell’isola, stanchi e impauriti, hanno chiesto a gran voce aiuto. Il grido d’allarme arriva da una popolazione che si sente abbandonata, schiacciata tra eventi naturali sempre più intensi e una gestione inadeguata del territorio.

 

Dall’incendio del 2022 al presente inferno

 

Due anni fa, un incendio devastante, originatosi durante le riprese di una fiction Rai dedicata alla Protezione Civile, ha segnato profondamente l’isola. I danni sono ancora visibili, e la vegetazione distrutta ha aumentato l’instabilità del territorio, con una grande frana verificatasi in quella zona appena due mesi dopo. Eppure, ciò che sembrava un episodio isolato si è trasformato in una crisi continua.

Oggi Stromboli è teatro di fenomeni sempre più frequenti e intensi. Le piogge si trasformano in eventi catastrofici. Dodici torrenti, dalla frazione di San Vincenzo a Ginostra, diventano fiumi in piena, trasportando fango, cenere e massi fino ai centri abitati.

Non è solo l’eredità dell’incendio a preoccupare. Gli ultimi parossismi del vulcano Stromboli, chiamato affettuosamente “Iddru” dagli isolani, hanno depositato enormi quantità di cenere che, a contatto con l’acqua, scivolano a valle con una forza distruttiva. I locali raccontano di muri e ponti trascinati via dalla furia dell’acqua e di notti insonni passate a monitorare i torrenti per prevenire il peggio.

 

Capre, campagne abbandonate ed erosione

 

Gli abitanti puntano il dito anche contro l’abbandono delle campagne. I terrazzamenti, un tempo curati e fondamentali per contenere il terreno, sono stati lasciati al degrado. Inoltre, la presenza di oltre 2000 capre selvatiche ha aggravato la situazione, animali che stanno distruggendo i muri a secco e aumentando l’instabilità del suolo.

 

La voce di chi vive ogni giorno sotto minaccia

 

“Ho deciso di andarmene dopo 42 anni,” racconta esasperato Andrea. “Non è più possibile vivere qui: ogni volta che piove è un rischio per la vita. Il letto del torrente che passa vicino casa mia si riempie continuamente di detriti. Abbiamo scavato, rimosso sabbia e massi, ma basta una pioggia di dieci minuti per far tornare tutto come prima.”

La frustrazione verso le istituzioni è palpabile. La Protezione Civile, accusata di essere assente nel momento del bisogno, viene ricordata per un’unica visita ad agosto: “Sono venuti solo a dirci cosa non potevamo fare. Ma quando il pericolo è reale, spariscono.” Gli abitanti si sentono abbandonati sia a livello regionale che nazionale, con interventi sporadici e inefficaci che non risolvono i problemi strutturali. “Abbiamo torrenti pieni di fango e canali ostruiti. Se non si interviene subito, l’isola crollerà poco a poco.”

 

La richiesta disperata di aiuto

 

 

Gli isolani chiedono interventi immediati e strutturali: la pulizia dei torrenti, la creazione di squadre dedicate alla manutenzione, e una gestione più attenta e continua del territorio. Le proposte sono concrete ma disperate. “Se non ci ascoltano, dovremo protestare a Roma, bloccare Montecitorio e farci sentire. Non possiamo più aspettare.”

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E poter dire ancora: “Sembra Bagdad”

Lo scroscio delle fontane copre quasi la voce, un cielo pesante e caldo d’umidità nonostante sia dicembre, Noor Alden ci precede di qualche passo, è sorridente, lo è stato per tutto il tempo del nostro tour tra le strade di Bagdad: “Questa piazza è vuota, ma è vuota perché è il simbolo di quello che c’era e adesso non c’è più. Questa piazza è vuota da 20 anni perché rappresenta il cambio di un’epoca, tra Saddam e adesso”.

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No good morning No good night

Reportage nei territori palestinesi

Il muro. Le reti di metallo, le divise dei militari, le torrette di controllo, i fari, i chek point, i mitra pronti ad entrare in azione. I 12 metri di cemento del muro di separazione.  Tutto ti racconta che da quel punto in poi sei in una zona di guerra. Inizia così il documentario del video maker messinese Matteo Arrigo, un viaggio in Palestina tra i volti, la quotidianità, la sofferenza.

 

(articolo su Gazzetta del sud del 08/12/2016)



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